Specchi di ArtificiuM

Ideato e scritto da Ezio Marangoni e Anna Marangoni

Giorni di Gloria

Nei giorni di gloria gli arredi erano stati progettati dall’architetto Enrico Monti che aveva voluto a bordo opere degli artisti più famosi in quel periodo.

Ciò fece sì che il bastimento si guadagnasse il soprannome di “ultima nave palazzo”.

Gli arredi prevedevano specchi a centinaia che sapientemente posizionati riflettendosi uno nell’altro aumentavano gli spazi rendendoli virtualmente infiniti. Una quantità enorme da pulire tutti i giorni per evitare aloni e nebbie che avrebbero potuto infastidire il passeggero che annoiato avesse voluto aggiustarsi il farfallino o sistemare all’ultimo momento il cappello.

Lo sfondo degli specchi era in argento, meno soggetto di altri materiali a combinarsi con l’aria salata e presentare all’osservatore i difetti di una produzione ancora tutta artigianale.

Le vetrerie di Murano vennero chiamate a raccolta per questo lavoro immane dove l’abilità e il genio la facevano ancora da padrone.

Ditte artigiane tra le più rinomate perché fare specchi era ancora opera dell’uomo e non delle macchine.

Del vetro usato niente si poteva sapere. Riciclato infinite volte e sempre nuovo.

Poteva conservare memoria di ciò che aveva visto?

Nonostante tutto alcuni di questi cominciarono a presentare delle ombre che non erano sempre visibili.

A certe ore del giorno, con una certa luce o anche con un certo stato d’animo dell’osservatore apparivano per pochi istanti figure o cose che poco avevano a che fare con gli ambienti circostanti.

Tanto che gli ispettori non le vedevano e non potevano fare altro che passare oltre a quelle che erano le segnalazioni di qualche zelante pulitore di specchi.

Casanova

Un tricorno veneziano. Cappello antico da tempo in disuso.

Appariva per un attimo alle 6 di sera e sotto ancora più sottile una Bàuta e ancor meno un tabarro.

Questa che diventava per un attimo una figura umana era come se si sporgesse leggermente in avanti un po’ inclinata a destra come nell’atto di girarsi e cercasse un ultimo sguardo di chi aveva davanti per farsi seguire. Era un gesto scherzoso e gentile di nobiltà antica.

Chi si trovava davanti allo specchio in quel preciso momento passava una lieta serata come chi ha trovato un vecchio amico desiderato. I maschi si fumavano un sigaro bevendo un robusto cognac e le signore dopo qualche mese presentavano felici un bel pancione che spesso carezzavano come un regalo da scartare a tempo e luogo, tutte sorridenti.

Solo qualcuno, con lo sguardo cercava un orologio e regolava il suo tirandolo fuori dal taschino. Con la sensazione di essere in ritardo e di non poter arrivare in orario. Irrequieto si aggirava per le sale cercando di inserirsi in quel clima di festa e trovava pace solo quando il vortice lo coinvolgeva in conversazioni e giochi.

Un gatto nero.

A mezza notte lo specchio del bar dava il meglio di sé

Dopo averlo guardato molti avventori pensavano che era proprio il momento di smettere di bere.

Studiandolo a fondo forse si sarebbe potuto capire quale magia di rifrazione aveva creato il salto di un gatto nero. Forse il vetro era fagliato. Spostando lo sguardo da sinistra a destra si coglieva un gatto come nei fotogrammi di una cinepresa che saltava da desta a sinistra.

Quel volo che lasciava una scia nella retina lenta a passare diceva che il gatto è l’animale che meglio interpreta l’aria. Non c’è volo di rondine o di falco che gli stia al pari. Fatti per volare esercitano il loro dominio. Il gatto nero invece si sposta nello spazio e nel tempo e in ogni istante di un balzo atterra nell’attimo successivo sospeso tra il sopra e il sotto, l’alto e il basso come se le leggi della gravità fossero state scritte per altre cose e non per la sua anima.

Chi lo vedeva si voltava di scatto, se il bere glielo permetteva, a cercare i due muri sui quali il gatto nero volava.

Muri e gatti a bordo non c’erano. Se non gli oziosi bianchi compagni di qualche ricca signora che si lasciavano carezzare solo dalla loro padrona pronti a togliere i guanti chi si fosse temerariamente avvicinato troppo.

Un gatto nero non è mai quello che sembra. Re della notte i suoi occhi sono la porta su un altro universo.

Vedendolo veniva la voglia bizzarra di correre dietro un …. topolino.

Una donzella ed un crociato

L’ombra diafana di una giovane ragazza alle spalle di una figura d’uomo alta e forte.

Dell’uomo si coglievano le mai guantate di cuoio intorno all’elsa di una spada appoggiata a terre e l’elmo sotto un braccio. Elmo senza calata. Tempo delle crociate.

Perché le voltava le spalle? Che forse doveri e fede lo avevano a portato ad accettare compiti più grandi del suo amore?

Una delle due mani aveva il palmo in alto. Era il gesto di chi chiede elemosina più che mercede.

Forse sarebbe tornato un giorno carico di ricchezze e gloria. Certo sarebbe tornato sporco di sangue. Forse l’avrebbe ritrovata. A quel tempo, molto più saggio di questo, ogni saluto era un addio. E si affidava a Dio la propria anima e i propri cari.

Forse.

Forse.

Forse.

Forse ogni saluto può davvero essere l’ultimo?

Arcobaleno

Dopo un temporale nel salone delle statue con le sue vetrate che nel viaggio di andata si trovavano a sud appariva nello specchio in fondo un sottile arcobaleno che sembrava nascere all’orizzonte e con il suo andamento andava a finire addosso allo spettatore.

Osservando chi si specchiava si sarebbe potuto vedere le pupille del fortunato allargarsi a dismisura come chi transita in un paesaggio già visto che riporta indietro le occasioni perse.

La vita di costoro cambiava. “Ci si pente solo di quello che non si fa” diventava l’essenza della vita di questi fortunati.

Fortune che arrivavano, amicizie nuove e sincere, amanti con cui trascorrere il resto della propria vita.

Come aver trovato la pentola d’oro della leggenda.

Con il bel tempo chi si specchiava aveva un senso di lieta attesa.

Un mazzo di fiori. Forse crisantemi. Memento Mori.

In una zona di passaggio dal ponte verso l’interno sembrava di vedere dei crisantemi riflessi in uno specchio

Lo richiamava alla vista lo stato di salute di chi passava. Non necessariamente una malattia diagnosticata. Piuttosto capitava se un qualche malanno aveva provocato al malcapitato paura e tristezza. Quel segno lo seguiva per la sala come a dirgli che la morte vien molto prima del disgregarsi del corpo.

Come un eco della vita piuttosto che l’annuncio della morte.

Chi lo vedeva stranamente provava sollievo invece di disperazione.

Correre, andare, che senso aveva tutto questo di fronte la certezza di stare poi fermi per l’eternità, immobili.

Un gesto gentile non fatto. Una parola di affetto non detta. Quel favore negato.

Qualcuno correva in cabina e sulla carta intestata scriveva una lettera a ciascuno dei suoi cari dicendogli quanto lo amava e quanto bene sperava per lui.

Molti uscivano dalle loro paure e questo portava a guarigione il loro corpo.

Sono paure e tristezze che fanno invecchiare.

La vita è sempre la stessa. Sia che si pianga. Sia che si rida.

Nella vita ci sono poche cose che cambiano una persona.

Per amore si cambia. Nel dolore si cambia.

Un Barbagianni e un Falco Pellegrino

Nel cambio dal giorno alla notte e dalla notte al giorno i due simboli della luce e del buio si fronteggiavano in una sfida che sarebbe ripresa al prossimo cambio.

Camerieri e inservienti lo sapevano. Erano gli unici già svegli.

Solo il più anziano di loro si rese conto che un anno dopo l’altro la loro posizione mutava.

Di pochi millimetri al mese si alzava un’ala o si abbassava un artiglio.

Non ci fu il tempo di vedere come sarebbe andata a finire. Cose degli uomini a volte interrompono le magie dello spazio e del tempo.

Solo adesso, dopo molti anni, si può cogliere che il loro combattere è diventato un caldo abbraccio.

L’Armatore

Cabina 1. Ponte A. Quello dei ricchi!

Da dove fosse arrivato quel piccolo specchio elegante non lo sapeva proprio nessuno.

Quando ci si avvicina si sente il profumo di fiori.

Quel profumo che la brezza del mare porta dalla costa: il profumo di ginestre, rosmarino, zafferano, soldanella delle sabbie, violacciocca di mare, giglio marino, ginepro ed il tasso. Lavanda.

E poi con il rollio ed il beccheggio della nave quello specchio poi … cigolava.

È il rumore di uno scafo in legno che poco aveva a che fare con quel bastimento tutto di metallo e marmi.

Eppure il legno dello specchio aveva imparato il rumore dei velieri su cui tanto aveva navigato.

Scorrendo la lista dei passeggeri che erano passati per quella cabina c’è una coppia di signori che ha attirato la nostra attenzione. Chiedevano sempre la stessa cabina.

Lui, armatore veneziano con un cognome che in Veneto significa falegname.

Lei pianista di successo. Donna affascinante.

Quando il vapore soppiantò le vele vendettero tutto.

Ci fu un ultimo viaggio in cui Lei si imbarcò da sola.

Ci piace pensare spirituale il marito Le avesse chiesto di lasciare sulla nave lo specchio che lo aveva accompagnato nella sua vita di marinaio.

Come a dire “almeno tu, vecchio compagno, continua a navigare”.

Adesso in questi specchi ci sei tu.

L’inizio della nostra storia

L’8 settembre 1944 il piroscafo Rex veniva affondato tra l’isola d’Istria e Capodistria.

Come già avevano fatto in precedenza gli inglesi erano ben consci che la distruzione di un simbolo impoveriva il nemico di riferimenti e luoghi dove l’energia di ogni essere umano si poteva ritrovare con quella di molti altri. Utile per resistere nelle avversità.

Ma questa è un’altra storia.

Diaspora

Lo scafo si era adagiato su un fianco e venne depredato per anni dagli abitanti della zona.

Non fu possibile stabilire dove andarono gli interni.

Quando venne deciso il recupero del materiale non era rimasto che il ferro. 11000 tonnellate che vennero portate via e rifuse per fare cose nuove.

Gli specchi finirono in tutta l’Istria, Friuli e alcuni tornarono a Venezia.

Riunione

Non ci è dato di sapere quale magia li ha riuniti.

Oggi sono tutti in un negozio di Vicenza.

Fanno bella mostra di sé e chi si specchia, a distanza di tanti anni, è richiamato a quelli stati d’animo come se oltre alle immagini negli specchi fossero rimasti impressi anche emozioni e sentimenti di chi si era specchiato prima di loro.

Certo ne hanno guadagnato con la spontanea esuberanza del personale che opera tra di loro. Anzi, sembrano un po’ spaesati con tutte le risate che sentono adesso.

Artificium

Capitani

Capitano

Sono stanco di mille vite spese in 1000 battaglie.

Stanco di bandiere (stendardi) e ormai sordo alle trombe che chiamano alla battaglia.

Quanti amici sono morti tra le mie braccia.

Quante madri mi hanno maledetto vedendo tornare i corpi dei loro figli.

Non sono più riuscito a guardarle negli occhi mentre mentivo nel dire che erano morti senza soffrire.

Peggio tornare. Sarebbe stato meglio morire in battaglia.

Capitan Tricorno

Terrore di tutti i pirati.

Poche cose si sapevano di lui. Odiava i pirati.

Dopo il suo scontro con Capitan Benda, dopo aver impiccato Jack il furbo con tutto il sui equipaggio e dopo aver inseguito Capitan Boccastorta per tutti gli oceani e averlo portato in schiavitù e averlo frustato un po’ fino a condurlo a morte la sua fama cominciò a precederlo.

Ogni pirata passava e sue giornate nell’angoscia all’idea di incontrarlo.

Non era un problema di quante navi o quanti cannoni avevi.

Lui e la sua fregata ti avrebbero fatto impazzire sempre intenta tirare a raso sui tuoi ponti, a palla o mitraglia. Fino all’ultimo uomo senza accettare la resa.

L’ultima sua gloria fu quando con la sua fregata, la bella Sirena, inseguì la squadra dei peggiori incubi nella rotte dei Caraibi. Ammiraglio Mary Anton, Il Greco, Manonera, Nasomozzo e Testadura detto anche Piantachiodi.

5 navi, ogniuna più potente della sua che si voltarono per scappare e non dare battaglia.

Le raggiunse una alla volta.

Capitan Il Greco, andato. Impiccato.

Capitan Manonera, andato. La sua nave esplose dopo aver preso fuoco.

Capitano Nasomozzo, andato. Frustato a morte.

Alla fine chiuse le ultime due navi in un golfo. La battaglia era inevitabile.

Per una intera giornata senza quartiere.

Alla fine, come pugili suonati, non sapevano più o da che parte sarebbero arrivati i prossimi colpi di cannone.

Alla fine della battaglia in quel tratto di mare c’erano solo i due Jolly Roger che galleggiavano sull’acqua.

La bella Sirena venne avvistata molte miglie a nord.

Avevano tutti abbandonato la nave. Troppo sangue e troppi fratelli morti quel giorno.

Di capitan Tricorno non si seppe più nulla.

Per i pirati il loro peggiore incubo poteva sempre tornare.

Capitan Arcobaleno

Alla fine di ogni tempesta solo la sua nave tornava sempre in porto.

Mai un uomo perso in mare.

Onde alte come palazzi da cui la sua nave, Fulmine, usciva sempre nuova.

Quando il mal tempo si avvicinava e il capitano si avvicinava alla ruota del timone a fianco del suo fidato NasoBlu chi credeva raccomandava a sua anima a Dio.

Chi era da più tempo con lei divertiti si strizzavano l’occhio e cantavano sghignazzando

Rolla Beccheggia e Il cielo lampeggia

Vento che urla e lei se ne burla.

Pioggia e ghiaccio tempo pagliaccio

Ancora adesso quando il mare monta e promette battaglia ci piace pensare che ci sia lei alla ruota intenta a portarci a casa.

Capitano Vento lo chiamavano

Se volevi vincere la gara del te dovevi dare a lui il tuo carico.

Sulla rotta da Singapore a Londra nessuno gli stava dietro.

La sua nave aveva il nome della donna che aveva sempre amato.

Al ritorno da un anno in mare, nella sua casa trovò i parenti e suo figlio di tre mesi.

Qualcuno arrivò a dire che era uno stregone che con un patto col diavolo poteva far volare la sua nave.

A noi piace pensare che Lei veniva a prenderlo per mano e li trascinava avanti sul mare nello spazio e nel tempo.

Il capitano era sempre più vecchio e più magro.

Quell’ultimo viaggio non usci mai dalla sua cabina

Arrivarono primi lo stesso

Di nascosto sua moglie era venuto a prenderlo. Fu sepolto in mare.

La Nave viaggio con altri capitani, Le cambiarono nome. Non fu più come prima. Non volava più.

Nella cabina del capitano c’era uno specchio. A volte riflette qualcosa che non c’è.

Un capitano, e una bella donna e loro figlio felice.

A volte gli specchi sono finestre verso passati e futuri che non sono stati.